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«Non ditemi quanto sono brava, seguite il mio esempio». È l’appello di Michela Di Virgilio donatrice di midollo osseo.

Michela, scendendo in prima linea, è riuscita a salvare la vita a una 17enne, le cui cellule sono risultate compatibili con le sue. Una fortunata combinazione che avviene una volta ogni 100mila e rovescia destini che sembrano ormai segnati. Per diventare donatori basta avere tra i 18 e i 35 anni, un peso corporeo superiore ai 50 chili e non soffrire di malattie gravi o infettive.

Una volta iscritti al registro donatori, la disponibilità resta valida fino al compimento dei 55 anni. Dati alla mano, Admo (associazione donatori midollo osseo) segnala che nel 2022 la Romagna ha visto due donazioni, e altre tre nell’anno successivo. Si può fare di più, dunque. Lo sostiene con forza Michela Di Virgilio, una donatrice 27enne che è originaria di Croce di Monte Colombo e abita a Riccione.

Lavora nel laboratorio di una gioielleria della Perla verde e, a differenza di altri, si è iscritta, appena 19enne, nel registro donatori. La prima donazione, poi, l’ha effettuata nel 2019 a 22 anni.

Di Virgilio, perché la scelta di donare?

«Tutto è partito guardando un telefilm che affrontava questo tema. Ero giovane e mi sono detta che dovevo dare il mio contributo perché una brutta malattia poteva capitare anche a una persona che amavo e persino a me».

Aleggiano leggende metropolitane e paure su questo gesto di generosità. Come sfatarle?

«Il prelievo non fa male, l’impressione è quella di esser caduti e aver sbattuto il fondoschiena. Nulla di più. Quando mi hanno chiamato, non avevo timori, ero felice di poter aiutare qualcuno che affrontava un incubo e attendeva da mesi la svolta. Dopo gli esami di controllo, è seguito il prelievo della durata di un’ora e mezzo. È la modalità di donazione più “antica” e consiste nel prelevare del midollo osseo dalle ossa del bacino. La mattina dopo ero di nuovo a casa dopo una notte tranquilla, passata in osservazione. Tra l’altro non è il solo tipo di donazione che esiste».

Cioè?

«È contemplato anche un semplice prelievo di sangue dal braccio: attraverso un’apparecchiatura si separano le cellule staminali emopoietiche necessarie per il trapianto dal sangue, raccogliendole in una sacca, mentre il sangue ti torna in circolo dall’altro. È un metodo impiegato in 8 donazioni su 10. L’azione solidale, in questo caso, prevede la somministrazione, nei 5 giorni precedenti la donazione, di un farmaco che promuove la crescita delle cellule staminali nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue periferico».

Cosa sa del ricevente?

«A un anno dalla donazione ho saputo che la ricevente era una ragazza italiana di 17 anni e che il trapianto era andato bene. Segnali confortanti per un’agognata normalità dopo un calvario durato anni. Avevo cercato di farle avere una lettera e un libro affidandoli ai sanitari ma mi hanno detto che era impossibile.

Lo rifarebbe?

«Anche domani. Le regole dicono che posso donare ancora a quella ragazza, in caso di ricadute, o a un mio familiare qualora se ne presentasse l’urgenza».

Cosa le dicono conoscenti e amici?

«Sempre la stessa cosa: “Wow, che bello“ ma poi finisce lì. Così ho cominciato a replicare, invitandoli a iscriversi nel registro dei donatori anziché sperticarsi in complimenti. Non sono un eroe, il mio è un piccolo gesto ma può far la differenza contro malattie terribili: leucemie, linfomi, mieloma, talassemia, immunodeficienze, disordini congeniti e anche alcuni tipi di tumori. Per ora ho convinto due sorelle a seguire il mio esempio ma andrebbe cambiato il modo di pensare rendendo più naturale la donazione, come lo è prendere la patente a 18 anni».

Va nelle scuole a raccontare la sua esperienza?

«Sì e mi sono recata anche nella parrocchia del mio paese d’origine. Non so quanto le mie parole abbiano fatto breccia, è come piantare dei semi senza aver la certezza che fioriranno, eppure tutti possiamo contribuire a un piccolo miracolo, perché tirarci indietro?».

Fonte della testimonianza: www.corriereromagna.it