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“Mi sono sempre chiesta perché il sangue e l’amore avessero lo stesso colore, adesso lo so”

Ciao, mi chiamo Anna Maria e non ho molto da offrire, se non gentilezza e coraggio.

Si perché a 23 anni e mezzo hai tante scelte ma a me ne hanno date solo due: o lasciarmi morire o lottare per vivere.

Ma la mia storia non inizia a 23 anni e mezzo, bensì molto prima, nell’agosto 1996 a soli due anni e mezzo ho avuto la mia prima ischemia cerebrale e l’anno seguente a tre anni e mezzo si è ripresentata, ancora più forte, tanto che non voleva lasciarmi scampo. Ma io ero una bambina e avevo voglia di vivere, e ha vinto la vita.

Più tardi nell’infanzia ho sofferto di brutti fenomeni vasculitici agli arti inferiori e continue febbri, nel frattempo la mia gemella monozigote Veronica ha avuto anche lei due episodi ischemici cerebrali.

E da lì abbiamo capito che si trattava di una malattia genetica, nella preadolescenza continuavamo ad avere infezioni ricorrenti e con un semplice emocromo del sangue, i medici hanno notato che c’era qualcosa che non andava nei nostri globuli bianchi e alle immunoglobuline.

Così ci hanno sottoposto a prelievo di midollo osseo in anestesia e hanno scoperto che il nostro midollo osseo produceva pochi globuli bianchi.

Dopo questo ennesimo ricovero siamo tornati a casa con una certezza in più: ossia che io e mia sorella eravamo due ragazzine speciali, più uniche che rare.

Si, sembra tanto la trama di un film giallo la mia vita e infatti lo è stata: Veronica ed io non avevamo un nome da assegnare alla malattia, non sapevamo chi era il colpevole, non avevamo la cosiddetta “etichetta”, nonostante fossimo sotto stretto monitoraggio con continui controlli ed esami genetici. Quando dai un nome ad una malattia puoi avere una possibilità di cura, miglioramenti della qualità di vita, oppure una guarigione.

Noi no. Poi però un giorno di dicembre 2016 il primario dell’istituto dove eravamo in cura, il Comitato Maria Letizia Verga di Monza, con l’equipe medica che ci seguiva ci ha dato un’ottima notizia. Negli Stati Uniti nel 2014 da un medico israeliano è stata scoperta una malattia genetica denominata Ada2 Deficency che guarda a caso combaciava con i sintomi che Veronica ed io presentavamo sin dall’infanzia. Abbiamo fatto quindi gli esami genetici adeguati e nel corso del 2017 il medico responsabile a livello italiano ci ha detto: “Si finalmente dopo 23 anni abbiamo trovato un nome alla vostra malattia genetica.”

La gioia e la felicità voi pensereste.

E invece no. Perché la mia malattia genetica dal 2015 ha avuto un declino a picco fino a che sono arrivata ad avere nel circolo sanguigno la quantità di zero globuli bianchi, ossia come sono solita dire io “ho toccato il fondo e l’ho pure scavato”. Cosa vuol dire avere zero globuli bianchi? Vuol dire non avere difese immunitarie.

Sembra una barzelletta, ma una semplice zanzara mi ha punto sulla coscia sinistra della gamba provocando un’infezione gravissima, nonché fortemente dolorosa. I medici del Comitato Maria Letizia Verga erano molto preoccupati e non sapevano più cosa fare perché nonostante le quantità aumentate di farmaci che mi davano, i miei globuli bianchi rimanevano fermi.

Così hanno deciso di trasferire il caso mio e di Veronica in un altro istituto, l’istituto di ricerca San Raffaele di Milano.

E il Professor Aiuti al secondo day hospital insieme alla dottoressa Maria Pia Cicalese mi hanno detto in parole chiare ed esplicite che non volevano più vedere una situazione del genere: vedere una ragazza che soffre da 23 anni e mezzo. Quindi mi hanno proposto due strade da intraprendere: o lasciarmi morire o lottare per vivere, lottare per vivere consisteva nel sottopormi ad un trapianto allogenico di midollo osseo.

Mi sono sentita sprofondare sotto una frana e la scelta era mia: con quei macigni avrei potuto costruirci un muro oppure un ponte.

E se sono qui é perché ho deciso di lottare per vivere.

A dicembre 2017 la mia ematologa ha convocato me e mia madre con un silenzio sacrale nell’ambulatorio visite e ha pronunciato una frase: “Abbiamo trovato la tua donatrice, siete compatibili 9/10”.

Mi ha provocato un’emozione intensa, indescrivibile, tanto che non riuscivo a muovermi dalla sedia e neppure a pronunciare una parola, nonostante mia mamma aveva le guance irrorate da lacrime, non per la gioia, ma per la paura.

Quella frase pronunciata dalla dottoressa a cui sono molto affezionata mi ha cambiato per sempre. Ho avuto la consapevolezza che una donna totalmente a me sconosciuta ha deciso di salvarmi la vita.

Si perché la cura alla mia malattia genetica non era un farmaco, ma era una persona e io quella persona l’ho trovata.

La mia vita non é stata facile e spensierata come quella di tanti altri miei coetanei però l’unica certezza che ho é che una persona mi ha salvato la vita donandomi una parte di sé, da viva.

Lei ora mi scorre nelle vene e nel midollo, lei ora é dentro di me e quando penso di essere da sola, io non sono mai sola perché c’é anche lei dentro di me.

Il mio cuore batte per due dal giorno 15 febbraio 2018, data del trapianto.

La diagnosi e la conseguente cura che ho sempre sperato non é stato un farmaco: é stata una persona.

Mi hai ridato la vita, una vita diversa, ora inizio a vivere una vita normale, come quella dei miei coetanei: mi hai fatto nascere una seconda volta; mi hai donato un altro compleanno che a breve festeggerò.

Mi hai donato un abbraccio in più, mi hai fatto conoscere un mondo meraviglioso, ossia quello del centro trapianti e tu, cara donatrice, mi hai insegnato che cos’è la VITA.

Ci tengo a sottolineare una cosa di cui io ero pienamente ignorante: a me hanno sempre spiegato che con le malattie genetiche si nasce, si cresce, si convive, e si muore.

Ma all’istituto San Raffaele mi hanno detto che non è così e che molti pazienti con malattie genetiche rare vengono sottoposte a trapianto allogenico di midollo osseo e guariscono!

C’è un altro problema. Come avrete ben capito sono una gemella e la malattia di Veronica finora non ha assunto una forma aggressiva da comprometterne la vita, però può essere canaglia e può succedere la stessa cosa che è successa a me.

Però lei attualmente non ha donatori compatibili: pensate ne hanno trovata solo 1 su 100.000 compatibile con me e Veronica e la donatrice può donare solo una volta.

E lo ha fatto con me perché era urgente la mia situazione.

Non voglio vedere mia sorella morire. Quindi come avrete ben capito il trapianto di midollo osseo serve sia per le forme tumorali del sangue come ad esempio leucemie e linfomi, sia per malattie genetiche rare.

Tutti questi pazienti insieme sono tantissimi, sono molti più di voi.

E noi ne aspettiamo 1 su 100.000 che sia disposto a donare la vita da vivi.

Soffriamo più noi pazienti che voi quando andate a donare, lo dico sul serio.

Io di prelievi di midollo osseo ne ho fatti tantissimi e ne dovrò fare altrettanti e non è doloroso.

Ad esempio io sono la prima che ha paura di fare il prelievo del sangue (e le mie infermiere lo sanno bene!) eppure di routine faccio prelievi; a sedici anni hanno usato la farfallina colore gialla e di solito la usavano di colore blu, io ero impazzita alla vista della farfallina gialla, avevo paura dell’ago, piangevo e strillavo e mi hanno tenuta in 6 persone stretta al letto per poter riempire una provetta di sangue.

Eppure ho affrontato tutto questo con coraggio.

Fatelo anche voi e donate! Un giorno potreste essere chiamati a salvare una vita!

Anna Maria Beretta

Fonte originale dell’articolo: www.admolazio.it