010 541784 - 345 511 3005 info@admoliguria.it

Due settimane dopo l’iscrizione in lista ha ricevuto la chiamata. Da allora la giovane di Lavarone porta la sua esperienza nelle scuole.

 

LAVARONE. «Sono entrata nella lista donatori a gennaio 2018 e due settimane dopo sono stata chiamata: c’era una persona compatibile». Roberta Torboli, 32 anni di Lavarone, racconta con il sorriso la sua esperienza da donatrice di midollo osseo.

La scelta di tipizzarsi per lei è avvenuta quasi per caso, perché da figlia unica ha pensato che se si trovasse ad aver bisogno di un donatore, vorrebbe ci fosse qualcuno per lei nel mondo. Il Trentino ad oggi conta più di 10 mila potenziali donatori (circa 500 mila in tutta Italia), dei quali più di cento sono stati chiamati a donare.

Roberta è una di loro, dopo sole due settimane dall’iscrizione, infatti, ha ricevuto la chiamata. «Ero a fare benzina e ho risposto senza sapere chi ci fosse dall’altra parte della cornetta. Era un medico e dopo qualche minuto in cui mi spiegava i vari passi da muovere prima della donazione effettiva l’ho fermato. Non avevo capito nulla, ero in stato di shock e pure il benzinaio mi guardava senza capire cosa stesse succedendo. Non mi ero granché informata su cosa fare in caso fossi stata effettivamente chiamata, mi dicevano tutti che le possibilità erano bassissime». Ed effettivamente non avevano tutti i torti, la compatibilità genetica è estremamente rara: si verifica una volta su quattro (25%) tra fratelli e sorelle (mai tra genitori e figli o tra zii e cugini) e addirittura 1 su 100.000 (0,001%) tra individui non consanguinei. «Lo step successivo era quello di fare un altro prelievo del sangue per confermare la compatibilità. La mia è risultata essere di quasi il 100% con il ricevente. A questo sono seguite altre visite e poi è arrivato il momento. Era l’estate del 2018».

Per il Trentino la donazione di midollo si effettua nell’ospedale di Verona e può durare da meno di un’ora, fino a qualche giorno, in base alla tipologia di persona ricevente (se è un bambino dura poco, se invece è un adulto dura molto di più). «Non ho mai avuto ripensamenti – spiega Roberta – da quando mi hanno chiamata ho detto subito sì. Non mi sono resa conto di cosa stesse succedendo, è stato tutto molto veloce, ma sono stata supportata al mille per mille».

La donazione può avvenire in due maniere, o tramite prelievo del sangue midollare direttamente dalle ossa del bacino, oppure con un prelievo delle cellule staminali ematopoietiche dal sangue periferico, in questo caso la metodologia è la stessa del prelievo del sangue. «Io ho effettuato la seconda possibilità – spiega Roberta – è stata una donazione lunga, di due giorni ma non ho sentito assolutamente nessun male. Tanta noia, quella sì, perché il tempo non passava più e dovevo rimanere a letto, ma una volta finito stavo bene. Il fine settimana ero già a ballare!». Il 2018 è stato per Roberta un anno diverso dagli altri, speciale.

 
È possibile però, ci spiega Roberta, mandare una lettera senza indicazioni specifiche sulla propria identità, da inviare ad Admo che poi la consegna direttamente all’interessato. «Io non l’ho mai fatto – confessa – perché ho paura poi di rimanere nell’attesa di una risposta che potrebbe non arrivare mai. Preferisco pensare che il mio dono ha portato del bene a una persona».
 
La giovane donna non ha tenuto per sé la sua storia, ha iniziato a raccontarla ai ragazzi, entrando nelle scuole e dialogando con loro. «I giovani vedono chi dona come un eroe – racconta – ma quello che ho fatto io non è stato nulla, i veri eroi sono i riceventi, perché dopo il trapianto spesso possono crearsi degli sfoghi dolorosi sulla pelle, e più il corpo cerca di ribellarsi, più significa che la donazione ha funzionato».
 
Tante persone, però, non se la sentono di condividere la propria esperienza, soprattutto se sono stati riceventi e hanno dovuto combattere con una malattia per molto tempo. «Se si arriva alla donazione di midollo – spiega Roberta – significa che la situazione è grave e quella rappresenta l’ultima salvezza, che non sempre va a buon fine.
 
È difficile per chi ci è passato aprirsi e raccontare, perché ogni storia porta con sé molta sofferenza». Quello che cerca di trasmettere Roberta ai ragazzi che incontra nelle scuole è che con la donazione si può salvare la vita di una persona con il minimo sforzo. «È un gesto che spesso segna le persone in senso positivo. – spiega – Adesso è come se avessi un fratello, da qualche parte nel mondo, che anche se non conosco c’è sempre, ed è letteralmente una parte di me».